Prevedere il Parkinson di oltre 10 anni

VEDERE OLTRE 10 ANNI PRIMA 

Le forme di disturbi del sonno associate studiate sono ormai così numerose che il gruppo dell’ospedale Morgagni-Pierantoni di Forli ha redatto un’ampia review ove conclude che i disturbi del sonno REM possono precedere di oltre 10 anni ogni altra manifestazione clinica della malattia di Parkinson.
IPOSMIA 4 ANNI PRIMA Un altro promettente filone di ricerca si focalizza sul riscontro di precoci alterazioni olfattive: quasi metà (46%) dei pazienti con iposmia svilupperà entro 4 anni le manifestazioni cliniche della malattia se presentava anche alterazioni cerebrali all’esame con DaTSCAN.

ΑLFA-SINUCLEINA NON SI SA QUANTI ANNI PRIMA MA UN BEL PO’ 

Un gruppo di ricercatori dell’università di Bologna ha recentemente dimostrato come sia possibile dimostrare la presenza di α-sinucleina (proteina alterata nella malattia di parkinson) nei nervi periferici prossimali con una biopsia cutanea. L’α-sinucleina è una proteina normale, ma se viene over-espressa può danneggiare le cellule nervose. Un recente studio su Cell Reports ha dimostrato su ratto parkinsonizzato come sia possibile bloccarne la trasmissione cellula-cellula, aprendo la strada alla possibile immunoterapia indirizzata verso l’α-sinucleina abnorme in modo da modificare la neurodegenerazione. Alcuni ricercatori di Vienna hanno iniziato uno studio per creare una sorta di vaccino che riduce l’accumulo di α-sinucliena modificando positivamente il decorso della malattia tramite induzione anticorpale. I ricercatori dell’Università di Lancaster hanno messo a punto un esame con cui, anni prima che si verifichi la cosiddetta feno-conversione, cioè la manifestazione clinica dei sintomi, si dovrebbe poter verificare il rischio di malattia con un semplice prelievo sanguigno ricercando l’a-sinucleina nel sangue.

LE CURE
Il principio base dell’attule trattamento è la reintroduzione dall’esterno della dopamina che non viene più prodotta, utilizzando levodopa.

LEVODOPA, MA NON SOLO 

Mantenere un costante livello del farmaco è sempre stata un’esigenza assoluta a cui dagli anni ’80 si è cercato di ovviare con l’infusione intraduodenale continua di apomorfina. Oggi sono usati anche altri farmaci che agiscono su diversi neuromediatori implicati marginalmente, oppure si impiega la tossina botulinica che corregge aspetti particolari come i disturbi muscolari.

NEUROSTIMOLAZIONE

Negli anni ‘80 è arrivata la neurostimolazione profonda tramite DBS, acronimo di Deep Brain Stimulation, che tramite microimpulsi elettrici riattiva i neuroni dopaminergici, riportandoli indietro di anni alla condizione che avevano quando erano ancora sensibili alla levodopa, tecnica che recentemente ha subito un’ulteriore evoluzione diventanto DBS adattativa, cioè capace di adeguare continuamente la stimolazione alle esigenze del momento modulandola di conseguenza, una scoperta frutto della ricerca italiana.

TMS 

E’ una tecnica non invasiva che permette di stimolare selettivamente specifiche regioni della corteccia cerebrale modulando l’attività sia di strutture cerebrali direttamente esposte allo stimolo magnetico, sia più lontane, ma funzionalmente connesse all’area target di stimolazione.
TDCS La tDCS, cioè transcranial direct current stimulation è forse la tecnica più semplice per stimolare il cervello. Chiamata dai ricercatori russi elettrosleep perché i pazienti sottoposti a valutazione si addormentavano, impiega corrente continua, negativa o positiva a seconda della terapia da effettuare.

TERAPIA GENICA 

Da ultima è arrivata una terapia di tipo genico che potrebbe finalmente risolvere la malattia alla radice, andando a riattivare il blocco di produzione del neurotrasmettitore dopamina. Un principio terapeutico chiamato Prosavin che si avvale di vettori virali genetici, cioè di virus mutati in laboratorio per trasportare geni cosiddetti terapeutici perché fondamentali per riattivare la produzione di dopamina, i quali, una volta inoculati per via transcranica nel corpo striato, riavviano la produzione del neurotrasmettitore carente.

RIABILITAZIONE E TERAPIA FISICA 

Oltre alle farmacoterapie e alle terapie chirurgiche, ci sono anche le terapie di riabilitazione e l’esercizio fisico che, pur non potendo alterare la progressione della malattia, possono migliorare il quadro complessivo e le capacità funzionali dei pazienti, rallentando il decadimento, purchè ci sia costanza di esercizio nel tempo. Anche solo passeggiare può dare giovamento al paziente parkinsoniano: la scoperta, che può apparire un controsenso in una malattia che determina difficoltà del cammino, proviene da uno studio pubblicato quest’estate su Neurology dai ricercatori della Iowa University e del Veterans Affairs Medical Center of Iowa City: la funzione motoria e l’umore sono migliorati del 15%, l’attenzione e il controllo della risposta del 14% e la rigidità dell’11%. Inoltre la riserva cardiaca è aumentata del 47%, il fitness aerobico e la rapidità del cammino del 7% e in totale il punteggio motorio è aumentato di 2,8 punti, un valore clinicamente rilevante.

ALTRI FATTORI DI RISCHIO
DEPRESSIONE, ecc. La depressione può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di malattia di Parkinson
Sintomi di tipo neuropsichiatrico (depressione, ansia, psicosi, disordini del controllo degli impulsi, del sonno, apatia e fatica) sono più frequenti nei pazienti de-novo, non in trattamento farmacologico.

DEFICIT COGNITIVO 

Questi pazienti spesso presentano deficit di tipo cognitivo, problema mai da sottovalutare per il pericolo che si possa avere nel lungo termine un viraggio da PD-MCI, acronimo di Parkinson disease with mild cognitive impairment, in vera e propria parkinson-demenza.
un programma di sport-game Nintendo fanno aumentare le capacità motorie, cognitive e attentive dei pazienti: semplici giochi al computer possono ottenere risultati simili a quelli di programmi appositamente sviluppati per migliorare le funzioni cognitive.

LA VISONE DEI COLORI 

Alterazioni della discriminazione dei colori sono fortemente predittivi per lo sviluppo di parkinson-demenza.

LE STATINE RIDUCONO COLESTEROLO E RISCHIO DI PARKINSON 

L’uso di statine pare associato a un ridotto rischio di sviluppare la malattia di parkinson.

 

Fonte: clicmedicina.it ,19-11-2014