Un nonno a dondolo

Mi vengono in mente alcune parole dette da un malato di P. in uno degli incontri che si sono tenuti l’anno scorso sul tema della comunicazione; erano più o meno queste: “ho ritrovato la gioia guardando gli occhi carichi di felicità del mio nipotino che ha trasformato in un gioco il mio tremolio di parkinsoniano … ride, ride tanto ed io insieme a lui …”.  Ci sono giochi come “trotta trotta cavallino…cavallino arrì arrò ..” ed altri che sono vecchi quanto il mondo ma sempre attuali e preferiti dai bambini. I piccoli amano farsi “dondolare” sulle ginocchia rassicuranti di un adulto. Già, rassicuranti! Perché il tremolio tipico del P. non significa che non si è più in grado di prendere sulle ginocchia il proprio nipotino e insieme divertirsi in un continuo scambio di sguardi e sorrisi avvolgenti capaci di procurare serenità e benessere ad entrambi. ANCHE QUESTA È COMUNICAZIONE! Una comunicazione di affetti, di fiducia, di emozioni e sentimenti sempre unici, ed ancor più lo sono per un ammalato di P. il quale, suo malgrado, fa esperienza di una malattia certamente fastidiosa e dolorosa, ma non può né deve condizionare la propria vita al punto da rinunciare a quelle gioie che, come nell’esempio, solo il sorriso di un bimbo può donarti. Un parkinsoniano sa quando fermarsi, ma finché potrà, anche se tutto curvo come un “dondolo”, può dare molto e ricevere altrettanto, da un bimbo che non gli chiede perché è tutto curvo e trema. Lui non sa, non può comprendere perché il nonno “trema”, gli basta semplicemente giocare per crescere e farsi avvolgere dalle coccole di un nonno speciale. Solo verso i 4 anni, fase dei perché, i bambini cominciano ad osservare e fare domande. Gli bastano semplici risposte, non c’è bisogno di dare spiegazioni dettagliate. Riporto il caso di un insegnante che si era abbassata, come è suo solito fare, piegandosi sulle ginocchia per essere vis-à- vis con il suo piccolo interlocutore, quando la gamba ha cominciato a tremare. Alla richiesta del bambino perché le tremasse la gamba l’insegnante gli ha risposto: “Già, la gamba trema! Credo proprio che sia messa in una posizione scomoda. Adesso cambio…non trema più!”. L’insegnante ha adottato una piccola strategia che ben conoscono gli ammalati di P. e per il bambino è stata più che sufficiente la risposta ricevuta. Non occorre anticipare la curiosità dei piccoli di conoscere, di capire. C’è tempo per capire che cos’è il Parkinson, d’altronde sono in molti, tra gli adulti, a non conoscere questa malattia e a confonderla con qualcosa legata a problemi di natura psichiatrica. La Neurologia non è la Psichiatria e il P. è solo e semplicemente una brutta malattia che ti colpisce nella sfera del movimento, limitandoti in quelle attività che prima facevi tranquillamente e con tempi “accelerati” rispetto a quelli “rallentati e più distesi” caratterizzanti la malattia. Ciò che chiede un parkinsoniano è solo di essere compreso e rispettato per questa lentezza e rigidità nei movimenti che possono colpire anche nella mimica facciale con un parlare affaticato e un po’ biascicato. Ecco, il tempo è qualcosa che non ci appartiene più; non si conosce più la fretta e la frenesia di un mondo che spreca parole senza riuscire a comunicare alcunché. I suoni di tante inutili parole si sovrappongono, creano una fitta ed impenetrabile nuvola fatta di “rumore” e di vuoto di comunicazione. Un parkinsoniano impara, nel corso della malattia, a “dire” l’essenziale. Siamo semplicemente ammalati di Parkinson. Per piacere rispettateci e rispettate i nostri tempi.

 

 Rossana (Novembre 2013)