«Vi spiego da dove parte il morbo di Parkinson»

In Svizzera circa 15mila persone sono colpite del morbo di Parkinson. Il Parkinson, dopo l’Alzheimer, è la seconda più grave malattia neurodegenerativa. Ogni scoperta per affrontare tale patologia diventa perciò molto importante. Lo è la scoperta di un gruppo di ricerca internazionale con sede a Cambridge. Ma perché ne parliamo qui e in che cosa consiste tale scoperta? Semplice: anche un giovane ricercatore ticinese ha contribuito a questo risultato, che potrebbe dare in futuro più speranze alle persone colpite.

Stiamo parlando di Thomas Michaels che, dopo gli studi al Politecnico di Zurigo in matematica e fisica (al termine del Liceo di Lugano 1) si è trasferito alla prestigiosa università di Cambridge per un dottorato in biofisica ed è stato coinvolto nella ricerca, diretta dai professori Céline Galvagnion e Christopher  Dobson. Gli abbiamo chiesto di spiegarci i contenuti della scoperta: «Il nostro studio ha identificato il punto chiave nel cervello che dà origine alla malattia di Parkinson. Per la prima volta abbiamo scoperto il punto in cui le proteine nel cervello improvvisamente diventano tossiche: in particolare abbiamo scoperto che esiste una concentrazione critica di una proteina chiamata alfa-sinucleina, che normalmente svolge diversi ruoli importanti nei tessuti nervosi, come per esempio il mantenimento dei segnali chimici nel cervello. Quando questa concentrazione critica di tale proteina viene superata, però, le probabilità che le proteine di alpha-sinucleina cominciano a formare aggregati tossici all’interno dei neuroni cresce drammaticamente. Questo processo di aggregazione delle proteine di alpha-sinucleina e la formazione di filamenti tossici è il primo, cruciale passo nella catena degli eventi che porta allo sviluppo della malattia di Parkinson».

Lo studio rappresenta un altro importante passo verso la comprensione di come le persone sviluppano il Parkinson e su questo aspetto Thomas Michaels cita la ricercatrice e prima autrice dello studio dr. Céline Galvagnion: «Trovare una cura per la malattia del Parkinson dipende dalla nostra abilità di capirlo. Per la prima volta siamo stati capaci di generare una descrizione dei primi eventi molecolari che danno origine alla malattia. Questi risultati ci hanno permesso di formulare una spiegazione possibile di come avvengono i primissimi passi che portano al Parkinson». Lo studio è stato di recente pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Chemical Biology.

Thomas Michaels nel suo dottorato in biofisica si interessa di capire i fenomeni fisici che stanno alla base della formazione di strutture complesse in biologia, partendo da sub-unità semplici, come le singole proteine. Per questo è stato associato alla ricerca sul Parkinson. Ma in futuro, gli abbiamo chiesto, che cosa ti piacerebbe fare?

«Vorrei rimanere nella ricerca, cioè diventare professore universitario e avviare un mio gruppo di ricerca. Nei prossimi anni mi piacerebbe continuare con la mia ricerca qui a Cambridge e in America presso l’università di Harvard, dove abbiamo dei collaboratori. In un futuro non troppo lontano penso di ritornare in Svizzera».

E a proposito di Svizzera e in particolare di Ticino, abbiamo scoperto (anche i giornalisti, a modo loro, sono dei ricercatori…) che un altro giovane ticinese collabora con il prof. Dobson che lavora sul Parkinson. Si tratta di Andrea Cavalli, figlio dell’oncologo Franco Cavalli, attivo presso l’IRB di Bellinzona. Un collegamento tra due ricercatori ticinesi e tra due realtà differenti, ma che ci fanno comunque capire come l’Istituto diretto dal prof. Lanzavecchia sia sempre più coinvolto a livello mondiale nella ricerca. Un bel biglietto da visita per un Ticino troppo spesso masochisticamente sottovalutato.

Fonte: Giornale del Popolo, 18-02-2015

Rassegna cinematografica 2015: dicono di noi……

La Nuova Venezia, venerdì 06 febbraio 2015:

Cinema e disabilità al Centro Candiani

Inizia oggi alle ore 17 al centro culturale Candiani di Mestre, la terza edizione della rassegna cinematografica sulla disabilità promossa dal’ Associazione Parkinsonismi Associati di Mestre  Venezia, in collaborazione con l’ Unità operativa solidale del Comune di Venezia e la Rete associativa Spazio Mestre solidale. Ad aprire la rassegna dedicata in particolare agli aspetti relativi al vivere e comunicare della persona malata o disabile, sarà la proiezione del film “Risvegli”, interpretato da Robert De Niro e Robin Williams e tratto dall’omonimo bestseller di Oliver Sacks, che unisce lo sguardo scientifico alla riflessione umana. Seguiranno “Amore e altri rimedi” (13 febbraio), in cui la protagonista è una giovane ammalata di Parkinson precoce interpretata dall’attrice Anne Hathaway; “The cake haters” (20 febbraio, che mette in scena l’amore adolescenziale di una ragazza con atassia di Friedrich; e infine il film vincitore di 4 premi Oscar “Il discorso del re” (27 febbraio), che sottolinea l’importanza della logopedia per comunicare correttamente.

 

Il Gazzettino, venerdì 06 febbraio 2015:

AL CENTRO CANDIANI :Rassegna cinematografica sulla disabilità

MESTRE – “Persone con disabilità: vivere e comunicare”, questo è il titolo della rassegna giunta alla 3. edizione organizzata dai Parkinsonismi Associati in collaborazione con il Comune che propone una carrellata di bellissimi film. Pellicole dal significato profondo legate al mondo della disabilità che verranno proiettate nella sala conferenze del Candiani. Perché comunicare è importante per tutti, ma per una persona malata e disabile lo è ancora di più, per avere conforto ma anche per restituire comprensione e affetto a chi la assiste. Oltre al fatto che è fondamentale sentirsi parte della vita sociale , familiare a affettiva. Ad aprire la rassegna, oggi venerdì, è un film importante come “Risvegli” tratto dal bestseller di Oliver Sacks, il neurologo che con un nuovo farmaco nel 1969 risvegliò alcuni pazienti post-encefalitici. Un film da non perdere, l’unico in cui recitano insieme Robert De Niro e Robin Williams. Segue il 13 febbraio “Amore e altri rimedi”, il film di Edward Zwick in cui la protagonista , interpretata da Anne Hathaway, è una giovane ammalata di Parkinson precoce. Il 20 febbraio è la volta di “The cakeaeters” di Mary Stuart masterson, con Kristen Stewart, Elisabeth Ashley e Bruce Dern che mette in scena l’amore adolescenziale di una ragazza con atassia di Friedrich. Conclude la rassegna, il 27 febbraio, un film da Oscar, “Il Discorso del Re” di Tom Hooper, con Colin Firth e Geoffrey Rush che evidenzia l’importanza della logopedia per comunicare correttamente. Tutte le proiezioni alle ore 17 (ingresso libero).

 

Editoriale Febbraio 2015 – Chiarimenti

Cari Amici, avendo poco spazio a disposizione, eliminiamo le premesse e andiamo al sodo. 1°) L’editoriale del numero precedente ha provocato una certa inquietudine che va fugata. Non vi sono all’orizzonte le dimissioni del Presidente, che qualcuno aveva letto tra le righe. Come da Statuto della nostra Ass.ne, il Direttivo – e con esso il Presidente – rimane in carica tre anni e ad aprile 2015 saremo chiamati a nuove elezioni. I cinque eletti individueranno al loro interno le varie cariche (Presidente e Vicepresidente) che, così nominati, rimarranno in carica per tre anni. Ringrazio coloro che hanno manifestato in vari modi il loro incitamento affinché rimanessi “sul ponte di comando” ma, come già scritto e detto, ritengo che questa nostra splendida avventura, che è rappresentata dal cammino compiuto dall’Associazione, debba individuare un ricambio “naturale” capace di instillare nuova linfa vitale, nuovo entusiasmo, nuovi obiettivi. L’alternativa sarebbe un placido adagiarsi su allori che a lungo andare la polvere del tempo coprirebbe. 2°) Prende vita “BiblioParko”: una nuova iniziativa che con il Coro di Canti Popolari si aggiunge alle varie attività nate per socializzare (ottimo farmaco per contrastare la MdP!); nelle pagine centrali entreremo nello specifico. Su queste righe ci limitiamo a ringraziare la Direzione del Centro don Vecchi e in particolare il Direttore rag. Candiani per la disponibilità sempre manifestata verso la nostra Associazione.

Dossier N. 2 DBS e dopo la DBS

I documenti che pubblichiamo in questo dossier sono pervenuti in redazione dai diretti interessati : parkinsonismi o familiari, per essere letti nelle puntate di Area ParkO dedicata a questo tema, con la partecipazione del Dott. Matteo Signorini neuropsicologo e del Dott. Rocco Quatrale direttore dell’Unità Operativa di Neurologia dell’Ospedale all’Angelo di Mestre.

 

DBS, solo tre lettere! Le conoscono molto bene i malati di Parkinson, quantomeno sanno che rappresentano una sigla che sta per “Deep Brain Stimulation”, ovvero STIMOLAZIONE CEREBRALE PROFONDA. Per quanto la metodologia è andata evolvendosi nel corso degli anni, resta comunque il fatto che si tratta di una tecnica invasiva che interviene chirurgicamente sul cervello, lì dove hanno sede i nostri ricordi, le nostre conoscenze, la nostra storia. Nei gruppi facebook se ne parla; spesso postando domande per saperne qualcosa in più da chi ci è già passato per questa esperienza. Ad ogni modo resterà sempre un’esperienza strettamente personale per la sua unicità, specie in questa malattia dalle mille facce che assume il volto particolare di come ciascuno vive il Parkinson. La diversità delle risposte alle terapie, dove incidono molti fattori sia per conformazione psichica che fisiologica, rende unici in questa malattia già complessa di suo per la vastità delle problematiche che abbraccia. C’è stata l’occasione di parlarne col dottor Rocco Quatrale, primario dell’UOC di Neurologia dell’Ospedale all’Angelo di Mestre, che ha accolto il nostro invito ed è rimasto a disposizione degli ascoltatori per rispondere a qualsiasi domanda in tema di DBS. La puntata è andata in onda il 29 ottobre in diretta negli studi di Padova di Radio Cooperativa ed è stata seguita da una puntata il 26 novembre per dare voce ai pazienti e alla componente psicologica che comporta un così complicato e invasivo intervento che è ben illustrata dal dottor Matteo Signorini, neuropsicologo a Venezia presso l’Ospedale S. Raffaele Arcangelo – Fatebenefratelli in un intervista effettuata il 24 novembre e mandata in onda il 26 novembre 2016. In questo dossier sono contenute sia le trascrizioni delle interviste estrapolate dalle registrazioni digitali delle puntate, sia le testimonianze che i pazienti ci hanno inviato di loro spontanea volontà e che sono state lette in diretta in parte o per intero. Qui vengono pubblicate in maniera completa come l’originale.

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Dossier N. 1 Compulsività

I documenti che pubblichiamo in questo dossier sono pervenuti in redazione dai diretti interessati: parkinsoniani o familiari, per essere letti nella puntata del 16 aprile di Area ParkO dedicata a questo tema, con la partecipazione del dottor Matteo Signorini neuropsicologo, docente della facoltà di psicologia dell’Università di Padova. In realtà abbiamo potuto leggere solo alcuni stralci di questi scritti, che pubblichiamo ora in forma anonima, vista la delicatezza dei temi trattati in queste pagine e per tutelare la privacy di coloro che ci hanno affidato le loro sofferte confessioni. Il dottor Signorini ha commentato ciascuna testimonianza per completare il dossier e si è reso disponibile per qualsiasi chiarimento alle persone che hanno inviato queste memorie scritte.

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Prevedere il Parkinson di oltre 10 anni

VEDERE OLTRE 10 ANNI PRIMA 

Le forme di disturbi del sonno associate studiate sono ormai così numerose che il gruppo dell’ospedale Morgagni-Pierantoni di Forli ha redatto un’ampia review ove conclude che i disturbi del sonno REM possono precedere di oltre 10 anni ogni altra manifestazione clinica della malattia di Parkinson.
IPOSMIA 4 ANNI PRIMA Un altro promettente filone di ricerca si focalizza sul riscontro di precoci alterazioni olfattive: quasi metà (46%) dei pazienti con iposmia svilupperà entro 4 anni le manifestazioni cliniche della malattia se presentava anche alterazioni cerebrali all’esame con DaTSCAN.

ΑLFA-SINUCLEINA NON SI SA QUANTI ANNI PRIMA MA UN BEL PO’ 

Un gruppo di ricercatori dell’università di Bologna ha recentemente dimostrato come sia possibile dimostrare la presenza di α-sinucleina (proteina alterata nella malattia di parkinson) nei nervi periferici prossimali con una biopsia cutanea. L’α-sinucleina è una proteina normale, ma se viene over-espressa può danneggiare le cellule nervose. Un recente studio su Cell Reports ha dimostrato su ratto parkinsonizzato come sia possibile bloccarne la trasmissione cellula-cellula, aprendo la strada alla possibile immunoterapia indirizzata verso l’α-sinucleina abnorme in modo da modificare la neurodegenerazione. Alcuni ricercatori di Vienna hanno iniziato uno studio per creare una sorta di vaccino che riduce l’accumulo di α-sinucliena modificando positivamente il decorso della malattia tramite induzione anticorpale. I ricercatori dell’Università di Lancaster hanno messo a punto un esame con cui, anni prima che si verifichi la cosiddetta feno-conversione, cioè la manifestazione clinica dei sintomi, si dovrebbe poter verificare il rischio di malattia con un semplice prelievo sanguigno ricercando l’a-sinucleina nel sangue.

LE CURE
Il principio base dell’attule trattamento è la reintroduzione dall’esterno della dopamina che non viene più prodotta, utilizzando levodopa.

LEVODOPA, MA NON SOLO 

Mantenere un costante livello del farmaco è sempre stata un’esigenza assoluta a cui dagli anni ’80 si è cercato di ovviare con l’infusione intraduodenale continua di apomorfina. Oggi sono usati anche altri farmaci che agiscono su diversi neuromediatori implicati marginalmente, oppure si impiega la tossina botulinica che corregge aspetti particolari come i disturbi muscolari.

NEUROSTIMOLAZIONE

Negli anni ‘80 è arrivata la neurostimolazione profonda tramite DBS, acronimo di Deep Brain Stimulation, che tramite microimpulsi elettrici riattiva i neuroni dopaminergici, riportandoli indietro di anni alla condizione che avevano quando erano ancora sensibili alla levodopa, tecnica che recentemente ha subito un’ulteriore evoluzione diventanto DBS adattativa, cioè capace di adeguare continuamente la stimolazione alle esigenze del momento modulandola di conseguenza, una scoperta frutto della ricerca italiana.

TMS 

E’ una tecnica non invasiva che permette di stimolare selettivamente specifiche regioni della corteccia cerebrale modulando l’attività sia di strutture cerebrali direttamente esposte allo stimolo magnetico, sia più lontane, ma funzionalmente connesse all’area target di stimolazione.
TDCS La tDCS, cioè transcranial direct current stimulation è forse la tecnica più semplice per stimolare il cervello. Chiamata dai ricercatori russi elettrosleep perché i pazienti sottoposti a valutazione si addormentavano, impiega corrente continua, negativa o positiva a seconda della terapia da effettuare.

TERAPIA GENICA 

Da ultima è arrivata una terapia di tipo genico che potrebbe finalmente risolvere la malattia alla radice, andando a riattivare il blocco di produzione del neurotrasmettitore dopamina. Un principio terapeutico chiamato Prosavin che si avvale di vettori virali genetici, cioè di virus mutati in laboratorio per trasportare geni cosiddetti terapeutici perché fondamentali per riattivare la produzione di dopamina, i quali, una volta inoculati per via transcranica nel corpo striato, riavviano la produzione del neurotrasmettitore carente.

RIABILITAZIONE E TERAPIA FISICA 

Oltre alle farmacoterapie e alle terapie chirurgiche, ci sono anche le terapie di riabilitazione e l’esercizio fisico che, pur non potendo alterare la progressione della malattia, possono migliorare il quadro complessivo e le capacità funzionali dei pazienti, rallentando il decadimento, purchè ci sia costanza di esercizio nel tempo. Anche solo passeggiare può dare giovamento al paziente parkinsoniano: la scoperta, che può apparire un controsenso in una malattia che determina difficoltà del cammino, proviene da uno studio pubblicato quest’estate su Neurology dai ricercatori della Iowa University e del Veterans Affairs Medical Center of Iowa City: la funzione motoria e l’umore sono migliorati del 15%, l’attenzione e il controllo della risposta del 14% e la rigidità dell’11%. Inoltre la riserva cardiaca è aumentata del 47%, il fitness aerobico e la rapidità del cammino del 7% e in totale il punteggio motorio è aumentato di 2,8 punti, un valore clinicamente rilevante.

ALTRI FATTORI DI RISCHIO
DEPRESSIONE, ecc. La depressione può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di malattia di Parkinson
Sintomi di tipo neuropsichiatrico (depressione, ansia, psicosi, disordini del controllo degli impulsi, del sonno, apatia e fatica) sono più frequenti nei pazienti de-novo, non in trattamento farmacologico.

DEFICIT COGNITIVO 

Questi pazienti spesso presentano deficit di tipo cognitivo, problema mai da sottovalutare per il pericolo che si possa avere nel lungo termine un viraggio da PD-MCI, acronimo di Parkinson disease with mild cognitive impairment, in vera e propria parkinson-demenza.
un programma di sport-game Nintendo fanno aumentare le capacità motorie, cognitive e attentive dei pazienti: semplici giochi al computer possono ottenere risultati simili a quelli di programmi appositamente sviluppati per migliorare le funzioni cognitive.

LA VISONE DEI COLORI 

Alterazioni della discriminazione dei colori sono fortemente predittivi per lo sviluppo di parkinson-demenza.

LE STATINE RIDUCONO COLESTEROLO E RISCHIO DI PARKINSON 

L’uso di statine pare associato a un ridotto rischio di sviluppare la malattia di parkinson.

 

Fonte: clicmedicina.it ,19-11-2014

 

 

La levodopa è la migliore opzione per la cura del Parkinson

La levodopa assicura risultati migliori sul lungo periodo nel trattamento del Parkinson, con riferimento sia alla mobilità sia alla qualità di vita. A dirlo è un nuovo studio pubblicato su The Lancet da ricercatori dell’Università di Oxford.
Richard Grey, coordinatore dell’analisi, spiega: «gli studi precedenti includevano pochi pazienti o li seguivano per poco tempo e inoltre andavano a valutare i sintomi motori piuttosto che l’impatto dei farmaci assunti sulla qualità della vita riferita dagli stessi pazienti».
Lo studio ha coinvolto e seguito per 7 anni un totale di 1620 pazienti con nuova diagnosi di Parkinson assegnati a tre gruppi di trattamento iniziale: 528 hanno assunto levodopa, 632 antagonisti della dopamina e 460 degli inibitori della monoamina ossidasi di tipo B (Moabi).
L’endpoint era teso a scoprire quale fosse il farmaco più efficiente per iniziare il trattamento e e quale si associasse a un controllo migliore dei sintomi e a una qualità di vita più alta sul lungo periodo.
«La levodopa è il trattamento più ampiamente utilizzato nella malattia di Parkinson, ma dopo l’uso prolungato possono insorgere spasmi muscolari involontari e problemi motori. Questi effetti sono meno frequenti con i nuovi farmaci, gli antagonisti della dopamina e i MOABI, che però sono associati ad altri eventi avversi come nausea, allucinazioni, edema e disturbi del sonno», spiegano i ricercatori.
Alla fine, è emerso che il farmaco più vecchio, la levodopa, è anche il migliore: «lo studio fornisce dati rassicuranti per medici e pazienti dimostrando che tutti i dubbi che hanno portato a una vera e propria “fobia da levodopa” sono infondati», commentano in un editoriale Anthony Lang e Connie Marras del Toronto Western Hospital, in Canada.

 

Fonte: italiasalute.it (16/06/2014)

Scoperta la causa del Parkinson giovanile

E’ un meccanismo molecolare che media la morte neuronale.

È una mutazione specifica a causare il Parkinson in età giovanile e un team di ricercatori italiani ne ha scoperto la natura.
Tremori, rigidità muscolare e difficoltà a controllare il proprio corpo sono alcuni dei sintomi del Parkinson, che ha un’età media di esordio intorno ai 60 anni ma a volte può manifestarsi anche prima dei 40.
I ricercatori dell’Istituto di neuroscienze (In-Cnr) di Milano, coordinati da Maria Passafaro, in collaborazione con colleghi dell’Istituto auxologico italiano di Milano, diretti da Jenny Sassone, hanno scoperto il meccanismo molecolare di una proteina chiamata parkina, la cui assenza causa la morte dei neuroni dopaminergici che hanno un ruolo chiave nel controllo dei movimenti, caratteristica principale della malattia neurodegenerativa. Lo studio potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche per rallentare il decorso del Parkinson giovanile. “La causa più frequente della forma giovanile del Parkinson sono le mutazioni in un gene nominato Park2, il quale codifica per la parkina, ossia contiene le istruzioni su come ‘costruire’ la proteina”, spiega Maria Passafaro. “Le mutazioni alterano la trasmissione del glutammato, il neurotrasmettitore amminoacido più diffuso nel sistema centrale nervoso, e possono indurre la morte nei neuroni dopaminergici della sostanza nera, situata nel mesencefalo, tramite un meccanismo molecolare chiamato eccitotossicità”.
L’identificazione del meccanismo molecolare permetterà in futuro di scoprire se la modulazione farmacologica del recettore possa avere un ruolo non solo nel controllo dei sintomi ma anche nel rallentare il processo neurodegenerativo in questa forma genetica di Parkinson. “La parkina, infatti, sembrerebbe interagire con uno specifico recettore glutammatergico (il recettore ionotropico per il kainato Kar) e ne regola l’espressione, cioè la presenza nei neuroni, tramite un processo conosciuto come ubiquitinizzazione”, prosegue la ricercatrice dell’In-Cnr. “Nei pazienti con la mutazione del gene Park2 si verrebbe a perdere la normale funzione della parkina con conseguente accumulo patologico del recettore Kar, che causa un incremento di concentrazione di glutammato nei neuroni, alterando così l’attività sinaptica e conducendo le cellule alla morte”.
Lo studio è stato finanziato dalla fondazione Cariplo e dal ministero della Salute. Hanno collaborato alla ricerca: l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, il Dipartimento di bioscienze dell’Università di Milano, l’Università di Bordeaux e il Dipartimento di neurologia della Università di Juntendo di Tokyo, diretto da Nobutaka Hattori che nel 1998 aveva identificato la mutazione del gene Park2.

 

Fonte: italiasalute.it (23/10/2014)

Parkinson, terapie per le complicazioni motorie

Lo scopo della terapia farmacologica della malattia di Parkinson è compensare il deficit di dopamina, il trattamento principale consiste nella somministrazione di levodopa, molecola che ha la funzione di aumentare la concentrazione di tale sostanza nel cervello, riducendone la tipica sintomatologia.
Il primo periodo di trattamento viene definito honey-moon, perché la maggior parte dei pazienti vive la malattia senza particolari problemi, ma dopo circa 5-10 anni, nell’80% di questi pazienti, insorgono complicazioni motorie chiamate discinesie, caratterizzate da movimenti involontari che possono portare a gravi complicazioni, estremamente invalidanti, le cui cause sono ancora ampiamente oscure e la pratica clinica può intervenire solo modificando il dosaggio di levodopa.
I ricercatori dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (ibfm-Cnr) di Catanzaro, in collaborazione con l’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma, hanno realizzato una ricerca per scoprire cosa accade nel cervello dei pazienti, prima e dopo l’assunzione di levodopa. Lo studio è pubblicato sulla rivista Brain.
“L’obiettivo del lavoro era scoprire quale alterazione funzionale si registra nel cervello dei parkinsoniani che soffrono di forti discinesie”, afferma Antonio Cerasa, ricercatore dell’Ibfm-Cnr. “Abbiamo compreso che la terapia con levodopa produce una disfunzione di uno specifico network cerebrale nella corteccia frontale inferiore, dove è localizzata una stazione criticamente patologica”. “A seguito di questa scoperta, si è provato a modulare l’attività disfunzionale di quest’area utilizzando la stimolazione magnetica transcranica”, prosegue Giacomo Koch del Santa Lucia. “Abbiamo così verificato che, inibendo l’attività di questa regione della corteccia prefrontale, è possibile ridurre sensibilmente la gravità delle discinesie”.
“Se saranno confermati i risultati di questo studio sperimentale, condotto utilizzando le più avanzate metodiche di neuroimaging e di neurofisiologia, potremo realizzare nuovi protocolli terapeutici in cui al trattamento farmacologico verrà abbinato un protocollo di neuro-stimolazione utile per ristabilire la funzionalità motoria dei pazienti, migliorando conseguentemente la loro qualità di vita”, conclude il responsabile dell’Ibfm-Cnr di Catanzaro Aldo Quattrone.

 

Fonte: italiasalute.it (25/11/2014)

La cannella come cura alternativa al Parkinson

La natura ci offre una nuova opzione terapeutica per una malattia grave come il Parkinson. Si tratta della cannella che secondo uno studio del Rush University Medical Center di Chicago, avrebbe la capacità di invertire i meccanismi cerebrali che si mettono in moto nelle persone affette dalla malattia di Parkinson.

La cannella riuscirebbe a ostacolare le modificazioni biomeccaniche, cellulari e anatomicheche si verificano nel corso della malattia. Una volta ingerita, la corteccia di cannella polverizzata viene metallizzata trasformandosi in una sostanza chiamata benzoati di sodio, capace appunto di penetrare a livello cerebrale. La sostanza blocca la perdita delle proteine Parkin e DJ-1, evento tipico che si verifica nei soggetti malati di Parkinson. La sostanza, inoltre, protegge i neuroni, normalizza i livelli dei neutrotrasmettitori e migliora le funzioni motorie. Secondo il Dott. Floyd A. Davis, docente di neurologia presso l’ateneo statunitense e primo firmatario di questa sperimentazione effettuata su modello murino, la cannella potrebbe essere utilizzata per ostacolare la progressione della malattia, La ricerca è stata pubblicata sul Journal of Pharmacology Neuroimmune. Secondo altri studi, peraltro, la cannella possiede anche proprietà antidiabetiche in quanto riesce a regolare la percentuale di zuccheri nel sangue. Inoltre è un potente antinfettivo, riuscendo ad essere aggressiva sia nei confronti del fungo candida albicans sia nei confronti dell’escherichia coli, entrambi responsabili di infezioni alle vie urinarie.

 

Fonte: italiasalute.it

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