Grazie all’approvazione giunta dall’Unione Europea, i pazienti malati di Parkinson e portatori di questo sottile elettrocatetere impiantato nel cervello, che genera impulsi utili a interrompere o ridurre i segnali elettrici che causano i sintomi della malattia, potranno entrare all’interno della RMN con tutto il corpo.
Approvati dall’Unione Europea e disponibili anche in Italia i primi e unici dispositivi per la Neurostimolazione Cerebrale Profonda (DBS), compatibili con la risonanza magnetica (RMN) full body. Da oggi, infatti, i dispositivi Activa® di Medtronic per la DBS hanno ricevuto dalle Autorità regolatorie europee l’estensione dell’indicazione che consente l’accesso alla Risonanza Magnetica di tutto il corpo. I dispositivi DBS Medtronic erano già stati approvati come compatibili con la Risonanza Magnetica ma solo per l’encefalo e in situazioni limitate.
La DBS è anche approvata per altre indicazioni quali distonia, OCD – disturbo ossessivo compulsivo, epilessia, tremore essenziale, per le quali i pazienti con DBS possono trarre vantaggio dalle nuove linee guida per la risonanza.
Visti i numeri delle procedure di Risonanza Magnetica eseguite in tutto il mondo (circa 60 milioni ogni anno), la disponibilità di un dispositivo per la DBS, compatibile con questo esame di imaging, amplia la possibilità dei pazienti di avvicinarsi alla Stimolazione Cerebrale Profonda, senza dover più rinunciare ad un esame diagnostico così importante per la diagnosi precoce di diverse patologie.
La DBS è una terapia, indicata nella Malattia di Parkinson, che prevede l’inserimento chirurgico di un sottile elettrocatetere all’interno del cervello, che viene poi collegato tramite un’estensione a un piccolo dispositivo chiamato neurostimolatore (simile a un pacemaker) solitamente impiantato sotto la cute nella zona toracica o addominale. Quando è acceso il neurostimolatore genera impulsi elettrici che vengono inviati al cervello, per interrompere o ridurre i segnali elettrici che causano i sintomi della Malattia di Parkinson. Un programmatore consente al paziente di regolare gli impulsi.
“La Malattia di Parkinson, disturbo del sistema nervoso centrale caratterizzato dalla degenerazione di alcune cellule nervose situate in una zona profonda del cervello denominata sostanza nera – dichiara il Professor Alfredo Berardelli del Dipartimento di Neurologia e Psichiatria dell’Università La Sapienza di Roma – è caratterizzata da alcuni sintomi classici: rigidità e lentezza dei movimenti (bradicinesia) ai quali si associano disturbi di equilibrio, atteggiamento curvo, impaccio nell’andatura, tremore a riposo (assente in circa il 30% dei casi) e molti altri sintomi definiti non motori come la perdita della capacità di percepire gli odori, stanchezza, senso di irrequietezza, insonnia, depressione, ecc.”
“Durante l’impianto il paziente è sveglio. Questo permette di registrare l’attività elettrica delle diverse strutture che andiamo a incontrare – afferma il Dottor Domenico Servello, Responsabile del Reparto di Neurochirurgia dell’IRCCS Istituto Galeazzi di Milano – ma, soprattutto, di eseguire un test di stimolazione intraoperatoria, che permette di vedere gli effetti sul sintomo e verificare che la stimolazione non dia effetti collaterali fastidiosi”.
Si tratta di una tecnica ‘matura’, praticata da anni in molti tra i più accreditati Centri del nostro Paese, indirizzata ad un 5% circa della popolazione dei pazienti, nei quali la terapia farmacologica non è più in grado di controllare i sintomi, oppure induce gravi effetti collaterali. Ora il paziente viene trattato, con successo, con terapie farmacologiche nei valutato per accedere alla DBS.
Nella maggior parte dei casi la terapia farmacologica a lungo termine, infatti, provoca complicanze motorie (discinesie e fluttuazioni), che influiscono negativamente sull’aderenza alla terapia medica, con conseguente peggioramento dei sintomi.
“La Stimolazione Cerebrale Profonda si combina bene anche con le terapie farmacologiche che possono essere utilizzate, così, a dosaggi ridotti, con una maggiore tollerabilità – afferma il Professor Alberto Albanese, Coordinatore dell’Area Neurologica dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano – I benefici della DBS sono maggiori in pazienti con età non superiore a 70-75 anni: questa procedura, infatti, non dovrebbe essere considerata come una ‘extrema ratio’, in quanto i maggiori benefici sono stati osservati in soggetti che vi hanno fatto ricorso in una fase precoce della malattia, rispetto a coloro che sono giunti all’esaurimento di tutte le alternative possibili – aggiunge il Professor Albanese – È una terapia che migliora la qualità della vita che sta registrando un grande sviluppo, anche per ulteriori indicazioni come distonia, tremori o disturbi dell’umore, come le sindromi depressive. Per questo motivo è necessario poterla utilizzare al meglio. Il limite della RNM era un ostacolo rilevante, che ora è stato superato”.
“Nel caso di un paziente portatore di un dispositivo DBS è importante poter eseguire un esame di Risonanza Magnetica dell’encefalo, sia per avere una migliore localizzazione dell’elettrodo e capire se c’è un malfunzionamento dell’impianto, sia a scopo diagnostico nel caso il paziente ne avesse bisogno- ha dichiarato la Dottoressa Luisa Chiapparini, Neuroradiologa dell’IRCCS Neurologico Besta di Milano – Prima di questa approvazione, i portatori di elettrodi non potevano entrare in un campo magnetico a causa del potenziale rischio dovuto alle interazioni tra l’apparato elettronico posizionato e il campo magnetico stesso. Per questo motivo – aggiunge la Dottoressa Chiapparini – il paziente doveva optare per altre indagini come esami radiografici o TAC, non altrettanto precise. Progressivamente, con alcuni neuro stimolatori e con le dovute precauzioni, è stato possibile sottoporre alcuni pazienti impiantati alla Risonanza Magnetica all’encefalo. Ma la vera novità attuale è che l’esame diagnostico può essere eseguito a tutto il corpo”.
La Risonanza Magnetica è un esame che dal 2005 al 2012 ha visto un trend costante di crescita e lo sarà sempre di più. In termini percentuali, poi, questa procedura viene utilizzata in un terzo dei casi per lo studio dell’encefalo e negli altri 2/3 per l’esame degli altri organi del corpo.
Gli indiscussi progressi nel campo tecnologico e l’entrata in uso di dispositivi sempre più innovativi contribuiscono a dar vita a dibattiti sulle modalità e sulla scelta di un determinato trattamento, soprattutto in un’ottica di sostenibilità. Le tecnologie all’avanguardia comportano sì costi iniziali maggiori, ma il percorso va, poi, visto in una prospettiva di lungo periodo, dove il risparmio in termini di costi diretti ed indiretti è evidente.
RIDUZIONE DEI COSTI FARMACOLOGICI
“La DBS è una terapia che ha costi inizialmente apparentemente elevati – dichiara il dottor Paolo Rampini – Direttore dell’Unità di Neurochirurgia dell’IRCCS Maggiore Policlinico di Milano – ma che si attenuano rapidamente in seguito alla sua applicazione. Con la terapia tradizionale, oltre al costo dei farmaci c’è anche quello del mancato miglioramento successivo alla terapia farmacologica e alla conseguente necessità di assistenza per i pazienti. Gli studi che hanno preso in considerazione questo aspetto – continua Rampini – hanno dimostrato che il trattamento con la DBS è economicamente più vantaggioso rispetto a quello tradizionale, sia per quanto riguarda i costi diretti, che quelli indiretti. Per quanto riguarda la nostra casistica (più di 140 pazienti impiantati), i dati dimostrano che dopo l’impianto c’è una riduzione dell’utilizzo dei farmaci del 70%, il che comporta anche una diminuzione delle complicanze correlate alla terapia. Ma quello che è sorprendente è notare il miglioramento della qualità di vita e della capacità di svolgere le attività quotidiane. Affrontando in modo puntuale il discorso dei costi – conclude Rampini – si calcola che quelli precedenti all’intervento sono di circa 8.500 euro all’anno per paziente, nel primo anno successivo all’intervento scendono a 4.398 euro e dal secondo anno in poi, calano ulteriormente, arrivando a 1.824 euro l’anno.”
A seconda del modello utilizzato e della quantità di stimolazione elettrica necessaria per il controllo dei sintomi, la batteria che alimenta il neuro stimolatore può durare da tre a nove anni (mediamente 5 anni). Quando si deve sostituire la batteria, si riapre l’incisione in anestesia locale e viene sostituita soltanto la batteria, collegando quella nuova ai fili già esistenti.
Fonte: Parkinson Italia – 29/05/2015