Fresco dona 25 milioni per la ricerca

NEW YORK

Filantropia anno zero: da ieri con l’annuncio formale di una donazione da 25 milioni di dollari e del programma completo, che destinerà i fondi alla ricerca contro il morbo di Parkison, Paolo Fresco ha aperto una strada nuova per il non profit in Italia. Intanto ha quasi certamente stabilito un record per una donazione privata, anche perché nel giro di tre anni la donazione potrebbe salire a 60 milioni di dollari. Ma soprattutto ha portato un messaggio per trasformare il nostro settore non profit, per trasmettere quella carica di generosità a vantaggio delle attività benefiche che da noi non è certo diffusa. E ha contribuito a puntare l’indice verso il futuro, verso quel passaggio inevitabile dall’approccio più statalista attuale per la gestione di attività culturali e scientifiche a un approccio più anglosassone, che lascia ampio spazio ai privati, ai donatori, sia per la destinazione che per la gestione dei fondi. «Sono cresciuto professionalmente in una cultura anglosassone dove si riceve molto – e io credo di aver lavorato duro e di aver ricevuto molto – ma dove vale anche l’imperativo morale della «restituzione» mi dice Fresco in una chiaccherata con il nostro giornale. Paolo Fresco, ex vice-chairman di General Electric ed ex Presidente e amministratore delegato della Fiat aveva deciso di destinare la sua intera eredità alla fondazione Paolo e Marlene Fresco (fondazione Fresco). «Ma poi ho deciso che forse potevo fare qualcosa subito, in vita, in modo da poter essere certo che i fondi fossero impiegati come desideravo».

NEW YORK

La donazione è molto creativa sul piano della strutturazione, formalmente i soldi vanno alla New York University, anzi al Langone Medical Center della NYU con una destinazione di ricerca molto specifica: l’Università creerà l’Istituto Marlene e Paolo Fresco per il Parkinson e i disturbi motori (Istituto Fresco) guidato da un clinico e da un neuro scienziato.

Un terzo della donazione però sarà gestito dalla fondazione italiana che finanzierà istituti di ricerca nel nostro paese in coordinamento con il comitato scientifico di NYU. Un altro terzo sarà destinato dalla università americana a ricercatori italiani che potranno andare a lavorare per due anni in America nella specialità, con l’impegno a rientrare in Italia e lavorare altri due anni sempre pagati dalla fondazione: «In questo modo creiamo un ponte solido fra Italia e Stati Uniti che consentirà ai nostri scienziati di lavorare in ambienti stimolanti ma di riportare la loro expertise nel nostro paese. Oggi i migliori scienziati italiani reclutati dagli ospedali universitari americani raramente tornano» . Ma al di là dei dettagli, resta l’impostazione creativa per questa donazione: «Non sono un Re Mida, ma spero che la mia azione serva anche da esempio per cambiare una certa cultura italiana molto più prudente. Ci vorrà tempo ma so che il governo è d’accordo sulla necessità di seguire questo tracciato – dice ancora Fresco – Che siano offerte deduzioni fiscali. Ma l’importante a questo punto è che persone con ampie disponibilità si muovano nella stessa direzione, ci vorrà un cambio culturale: del resto credo che il dovere della restituzione sia un valore universale».

 

Fonte: Il Sole 24 Ore – 08/10/2015

Una donazione di $25 milioni crea l’istituto per il Parkinson e i Disturbi Motori alla New York University, Langone Medical Center

L’Istituto Paolo e Marlene Fresco per il Parkinson e i Disturbi Motori migliorerà la cura di tale morbo capitalizzando le eccellenze innovative e organizzative dell’Italia e degli Stati Uniti

NEW YORK, 17 giugno 2015 /PRNewswire/ — New York University Langone Medical Center ha annunciato oggi che la Fondazione Paolo e Marlene Fresco (Fondazione Fresco) ha donato $25 Milioni per creare l’Istituto Marlene e Paolo Fresco per il Parkinson e i Disturbi Motori (Istituto Fresco). L’Istituto Fresco migliorerà la conoscenza, la cura e l’istruzione sul Morbo di Parkinson e i disturbi motori. Guidato congiuntamente da un clinico e neuro scienziato (probabilmente il primo Istituto sul Parkinson di questo tipo) l’Istituto Fresco avrà sede principale a New York, ove rafforzerà il già esistente centro per il Parkinson e disturbi motori di NYU Langone e si espanderà con delle importanti collaborazioni con Istituti e ricercatori Italiani del settore. A tal fine è pianificata l’apertura di una sede Italiana a breve.

A livello Mondiale si stima che tra quattro e sei milioni di persone siano afflitte dal Morbo di Parkinson, un incurabile disordine neurologico che progressivamente colpisce la parola, l’umore, il pensiero e il movimento.

“La cura del Parkinson varia da caso a caso” dice il Prof Alessandro di Rocco, Direttore dell’Istituto Fresco a NYU Langone. “Bisogna continuare a valutare e personalizzare la cura basandosi sulla evoluzione e sui sintomi del paziente e della sua qualità di vita. Attraverso i programmi di borse di studio, la collaborazione clinica e scientifica con  Istituti e ricercatori Italiani, otterremo cure migliori e una migliore comprensione della malattia.”

“Il Prof Di Rocco e il suo Team hanno curato le persone a me più vicine, e gli sono profondamente grato” dichiara l’Avvocato Fresco.” Vi sono molte cose che non sappiamo sul Parkinson e attraverso questa donazione, abbiamo la possibilità di cambiare il paradigma di questa malattia devastante. La collaborazione attraverso la Fondazione Fresco con le comunità scientifiche e mediche Italiane è un elemento chiave di questo programma di cui beneficeranno entrambi i Paesi. Ho pensato fosse giusto destinare le mie donazioni ai due Paesi a cui sono legato da particolare gratitudine, l’Italia che mi ha dato i natali ed educazione e gli USA che mi hanno  dato generose opportunità di crescita professionale e successo”.

I goal dell’Istituto Fresco includono:

“L’Istituto Fresco stabilirà forti legami tra la ricerca clinica e di base sui disturbi del movimento, in particolare del Morbo di Parkinson” dice Richard Tsien, Direttore scientifico del Fresco Institute. ” Creerà anche proficui contatti tra scienziati in USA e Italia,  nella ricerca sui disturbi neurologici grazie alla visione, leadership e generosità di Paolo e Marlene Fresco che hanno permesso la realizzazione di questo progetto” . Dr Tsien è anche Professore di Scienze Neurologiche  al Druckenmiller, e Direttore dell’Istituto di Neuroscience al NYU Langone.

Questo programma grazie al coordinamento e condivisione accademica e scientifica tra USA e Italia consentirà un forte impulso alla ricerca scientifica e clinica nel settore, superiore a quanto ottenibile se affidato a una singola istituzione.

L’Avvocato Fresco è un Trustee del NYU Langone dal 2013, guida la Fondazione Fresco, e partecipa in varie iniziative benefiche in Italia. È stato Presidente esecutivo della Fiat per cinque anni  e prima di ciò Vice Presidente Esecutivo della General Electric dove ha lavorato per più di 35 anni.

Ha ottenuto la Laurea in Giurisprudenza all’Università di Genova.

Contatto Media:Marija MihajlovicNYU Florencembm12@nyu.edu+39-055-500-7202

Deborah (DJ) Haffeman NYU Langone Medical Center deborah.haffeman@nyumc.org +1-212-404-3567+1-646-284-5630

Informazioni sul NYU Langone Medical Center: NYU Langone Medical Center, un centro medico accademico integrato di classe mondiale, concentrato sui pazienti, è uno dei centri principali del paese per l’eccellenza nelle cure cliniche, nella ricerca biomedica, e nella formazione medica. Situato nel cuore di Manhattan, NYU Langone consiste di quattro ospedali: il Tisch Hospital, la sua struttura principale dedicata alla cura delle malattie acute; il Rusk Rehabilitation; l’Hospital for Joint Diseases, l’ospedale del Medical Center dedicato ai pazienti ortopedici ricoverati; e l’Hassenfeld Children’s Hospital, un ospedale pediatrico completo che offre a tutto il Medical Center una gamma integrata di servizi sanitari per i minori. Fanno anche parte di NYU Langone la NYU School of Medicine, dove fin dal 1841 sono stati formati migliaia di medici e scienziati che hanno aiutato a stabilire il corso della storia della medicina, e il Laura and Isaac Perlmutter Cancer Center, un centro oncologico designato dal National Cancer Institute. La missione tripartita del Medical Center, cioè di servire, insegnare e scoprire, è compiuta tutti i giorni dell’anno grazie a un’integrazione senza soluzione di continuità di una cultura dedicata all’eccellenza nella cura dei pazienti, nell’istruzione e nella ricerca.

Per ulteriori informazioni, visitare il sito www.NYULangone.org

Fonte: LIBERO Quotidiano.it, 17-06-2015

Convegno a Milano sul Parkinson. Costantini presenta la sua terapia a base di Vitamina B1. Può aiutare la tecnica basata sulle staminali

Oggi si è svolge a Milano, presso la Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson, il 37^ convegno sulla cura della malattia di Parkinson, organizzato dal professor Giovanni Pezzoli che dirige l’importante ambulatorio di Neurologia e Centro Parkinson.

Al convegno è stato invitato anche il neurologo Antonio Costantini per illustrare a malati e medici l’esperienza maturata attraverso l’uso della sua terapia che prevede l’uso di dosi massicce della vitamina B1 con pazienti malati di Parkinson.

Abbiamo approfittato di questa occasione per intervistare il dottor Costantini anche sulle notizie provenienti dalla Svezia sulla ripresa di un’altra terapia possibile, abbandonata più di vent’anni fa, basata sulla iniezione in profondità di cellule prelevate dai feti umani.

Costantini spiega il suo invito a Milano con le vicende di una sua paziente. La donna, malata di Parkinson, visitata anche da lui a Viterbo, presso la Casa di Cura Villa Immacolata di San Martino al Cimino, si era recata a Milano per una visita di controllo. I medici che la tenevano da tempo in cura da anni sono rimasti meravigliati per gli enormi progressi ottenuti attraverso la somministrazione della vitamina B1.

D: Dottor Costantini: Ultima Edizione vorrebbe un commento da Lei sulla recente notizia pubblicata dalla rivista New Scientist- Health sul risultato di una ricerca condotta dall’Università di Cambridge sul trattamento del morbo di Parkinson sperimentato alcuni anni fa, e poi abbandonato. E’ basato sull’iniezione di cellule fetali nel cervello. Cosa ne pensa di questa trattamento effettuato in Svezia?

R: E’ una notizia molto positiva perché colpisce alla radice il male. Si trapianta un organo sano che ha bisogno di tempo per inserirsi nella normale fisiologia dei sistemi funzionali cerebrali. E’, quindi, una notizia bellissima questa. Potrebbe, nel tempo, liberare completamente dai sintomi della malattia i pazienti e mantenerli in pieno benessere per molti anni.

D: I ricercatori adesso hanno in programma il trattamento di altre 19 persone tra Cambridge e la Svezia e di utilizzare cellule staminali, anziché le cellule fetali. Sembra però che prima di portare effetti positivi sia necessario del tempo.

R: Si, la ripresa di quella sperimentazione è resa possibile dal fatto che oggi c’è una maggiore disponibilità di cellule. La notizia è importante perché potrebbe consentirci di associare questa tecnica a quella dell’uso della Vitamina B1 in grado di contrastare e contenere la malattia per il tempo necessario ai pazienti di beneficiare di questo nuovo trattamento. La tecnica svedese, infatti, sembra avere la potenzialità di arrestare e far regredire completamente i sintomi della malattia, ma ha bisogno di almeno tre anni di tempo per portare a dei reali benefici. Si tratta di una notizia meravigliosa.

D: Oltre alla vitamina B1 sperimentata da Lei e alle cellule fetali, ci sono altre terapie adatte a far regredire questa terribile malattia?

R: Ormai con quello che abbiamo in mano, con questa speranza nuova, c’è un sistema per contrastare e battere la malattia in maniera completa: è la ricerca del Bio Market prima che insorgano i sintomi della malattia. Fare in modo di poter prevedere su chi e su quando potranno insorgere i sintomi della malattia di Parkinson. In quel caso non vedremo la malattia in nessuna parte del mondo.

D: Il dottor Alberto Toma, uno studente laureando, ha recentemente discusso la propria tesi di laurea presso l’Università degli Studi di Perugia avente per argomento il trattamento a lungo termine della malattia di Parkinson con alte dosi di vitamina.

R: Si, è un ragazzo della provincia di Lecce. Il Professore Giuseppe Servillo, docente incaricato di Patologia Generale per la Facoltà di Farmacia e Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia, ha intuito l’interesse e la potenzialità dello studio e l’ha seguito molto. Ed infatti ha avuto il massimo dei voti.

D: L’interesse pubblico e quello dei malati di Parkinson, secondo Lei, spingerà le autorità sanitarie a proseguire nella ricerca?R: Questa ricerca comporta una diminuzione di spesa assai significativa. L’assistenza pubblica in Italia, almeno per quanto riguarda il Parkinson, è assicurata dai colleghi in maniera magistrale. Purtroppo, non hanno molti mezzi per contrastarlo. Le terapie seguono in maniera coerente tutte le linee guida della cura del Parkinson a livello mondiale. Ma non sempre i mezzi messi a loro disposizione sono adeguati allo scopo. Purtroppo la malattia non lascia tregua e richiede tempi lunghi.

Fonte: ULTIMAEDIZIONE.eu – 07/06/2015

Parkinson e Vitamina B1: arriva anche una tesi di laurea confermare gli effetti positivi

La terapia contro il Morbo di Parkinson che utilizza l’uso massiccio di vitamina B1 (Tiamina) sperimentata dal dottor Antonio Costantini comincia ad essere argomento di interesse per gli studenti laureandi.

Il dottor Alberto Toma ha appena discusso la propria tesi di laurea in Farmacia presso l’Università degli Studi di Perugia avente per argomento il trattamento a lungo termine della malattia di Parkinson con alte dosi di tiamina intramuscolo. 

I pazienti sono quelli studiati sotto la guida del dottor Antonio Costantini e la Tesi di laurea è stata realizzata con la attenta supervisione del professore Giuseppe Servillo, docente incaricato di Patologia Generale per la facoltà di Farmacia e Medicina e Chirurgia Dell’Università di Perugia.La tesi ha suscitato molto interesse e ha ottenuto il massimo dei voti.

Fonte: ULTIMA EDIZIONE.eu – 04-06-2015

Anche in Italia i dispositivi per la DBS compatibili con la Risonanza Magnetica (RMN)

Grazie all’approvazione giunta dall’Unione Europea, i pazienti malati di Parkinson e portatori di questo sottile elettrocatetere impiantato nel cervello, che genera impulsi utili a interrompere o ridurre i segnali elettrici che causano i sintomi della malattia, potranno entrare all’interno della RMN con tutto il corpo.

Approvati dall’Unione Europea e disponibili anche in Italia i primi e unici dispositivi per la Neurostimolazione Cerebrale Profonda (DBS), compatibili con la risonanza magnetica (RMNfull body. Da oggi, infatti, i dispositivi Activa® di Medtronic per la DBS hanno ricevuto dalle Autorità regolatorie europee l’estensione dell’indicazione che consente l’accesso alla Risonanza Magnetica di tutto il corpo. I dispositivi DBS Medtronic erano già stati approvati come compatibili con la Risonanza Magnetica ma solo per l’encefalo e in situazioni limitate.

La DBS è anche approvata per altre indicazioni quali distonia, OCD – disturbo ossessivo compulsivo, epilessia, tremore essenziale, per le quali i pazienti con DBS possono trarre vantaggio dalle nuove linee guida per la risonanza.

Visti i numeri delle procedure di Risonanza Magnetica eseguite in tutto il mondo (circa 60 milioni ogni anno), la disponibilità di un dispositivo per la DBS, compatibile con questo esame di imaging, amplia la possibilità dei pazienti di avvicinarsi alla Stimolazione Cerebrale Profonda, senza dover più rinunciare ad un esame diagnostico così importante per la diagnosi precoce di diverse patologie.

La DBS è una terapia, indicata nella Malattia di Parkinson, che prevede l’inserimento chirurgico di un sottile elettrocatetere all’interno del cervello, che viene poi collegato tramite un’estensione a un piccolo dispositivo chiamato neurostimolatore (simile a un pacemaker) solitamente impiantato sotto la cute nella zona toracica o addominale. Quando è acceso il neurostimolatore genera impulsi elettrici che vengono inviati al cervello, per interrompere o ridurre i segnali elettrici che causano i sintomi della Malattia di Parkinson. Un programmatore consente al paziente di regolare gli impulsi.

“La Malattia di Parkinson, disturbo del sistema nervoso centrale caratterizzato dalla degenerazione di alcune cellule nervose situate in una zona profonda del cervello denominata sostanza nera – dichiara il Professor Alfredo Berardelli del Dipartimento di Neurologia e Psichiatria dell’Università La Sapienza di Roma – è caratterizzata da alcuni sintomi classici: rigidità e lentezza dei movimenti (bradicinesia) ai quali si associano disturbi di equilibrio, atteggiamento curvo, impaccio nell’andatura, tremore a riposo (assente in circa il 30% dei casi) e molti altri sintomi definiti non motori come la perdita della capacità di percepire gli odori, stanchezza, senso di irrequietezza, insonnia, depressione, ecc.”

“Durante l’impianto il paziente è sveglio. Questo permette di registrare l’attività elettrica delle diverse strutture che andiamo a incontrare – afferma il Dottor Domenico Servello, Responsabile del Reparto di Neurochirurgia dell’IRCCS Istituto Galeazzi di Milano – ma, soprattutto, di eseguire un test di stimolazione intraoperatoria, che permette di vedere gli effetti sul sintomo e verificare che la stimolazione non dia effetti collaterali fastidiosi”.

Si tratta di una tecnica ‘matura’, praticata da anni in molti tra i più accreditati Centri del nostro Paese, indirizzata ad un 5% circa della popolazione dei pazienti, nei quali la terapia farmacologica non è più in grado di controllare i sintomi, oppure induce gravi effetti collaterali. Ora il paziente viene trattato, con successo, con terapie farmacologiche nei valutato per accedere alla DBS.

Nella maggior parte dei casi la terapia farmacologica a lungo termine, infatti, provoca complicanze motorie (discinesie e fluttuazioni), che influiscono negativamente sull’aderenza alla terapia medica, con conseguente peggioramento dei sintomi.

“La Stimolazione Cerebrale Profonda si combina bene anche con le terapie farmacologiche che possono essere utilizzate, così, a dosaggi ridotti, con una maggiore tollerabilità – afferma il Professor Alberto Albanese, Coordinatore dell’Area Neurologica dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano – I benefici della DBS sono maggiori in pazienti con età non superiore a 70-75 anni: questa procedura, infatti, non dovrebbe essere considerata come una ‘extrema ratio’, in quanto i maggiori benefici sono stati osservati in soggetti che vi hanno fatto ricorso in una fase precoce della malattia, rispetto a coloro che sono giunti all’esaurimento di tutte le alternative possibili – aggiunge il Professor Albanese – È una terapia che migliora la qualità della vita che sta registrando un grande sviluppo, anche per ulteriori indicazioni come distonia, tremori o disturbi dell’umore, come le sindromi depressive. Per questo motivo è necessario poterla utilizzare al meglio. Il limite della RNM era un ostacolo rilevante, che ora è stato superato”.

“Nel caso di un paziente portatore di un dispositivo DBS è importante poter eseguire un esame di Risonanza Magnetica dell’encefalo, sia per avere una migliore localizzazione dell’elettrodo e capire se c’è un malfunzionamento dell’impianto, sia a scopo diagnostico nel caso il paziente ne avesse bisogno- ha dichiarato la Dottoressa Luisa Chiapparini, Neuroradiologa dell’IRCCS Neurologico Besta di Milano – Prima di questa approvazione, i portatori di elettrodi non potevano entrare in un campo magnetico a causa del potenziale rischio dovuto alle interazioni tra l’apparato elettronico posizionato e il campo magnetico stesso. Per questo motivo – aggiunge la Dottoressa Chiapparini – il paziente doveva optare per altre indagini come esami radiografici o TAC, non altrettanto precise. Progressivamente, con alcuni neuro stimolatori e con le dovute precauzioni, è stato possibile sottoporre alcuni pazienti impiantati alla Risonanza Magnetica all’encefalo. Ma la vera novità attuale è che l’esame diagnostico può essere eseguito a tutto il corpo”.

La Risonanza Magnetica è un esame che dal 2005 al 2012 ha visto un trend costante di crescita e lo sarà sempre di più. In termini percentuali, poi, questa procedura viene utilizzata in un terzo dei casi per lo studio dell’encefalo e negli altri 2/3 per l’esame degli altri organi del corpo.

Gli indiscussi progressi nel campo tecnologico e l’entrata in uso di dispositivi sempre più innovativi contribuiscono a dar vita a dibattiti sulle modalità e sulla scelta di un determinato trattamento, soprattutto in un’ottica di sostenibilità. Le tecnologie all’avanguardia comportano sì costi iniziali maggiori, ma il percorso va, poi, visto in una prospettiva di lungo periodo, dove il risparmio in termini di costi diretti ed indiretti è evidente.

RIDUZIONE DEI COSTI FARMACOLOGICI

“La DBS è una terapia che ha costi inizialmente apparentemente elevati – dichiara il dottor Paolo Rampini – Direttore dell’Unità di Neurochirurgia dell’IRCCS Maggiore Policlinico di Milano – ma che si attenuano rapidamente in seguito alla sua applicazione. Con la terapia tradizionale, oltre al costo dei farmaci c’è anche quello del mancato miglioramento successivo alla terapia farmacologica e alla conseguente necessità di assistenza per i pazienti. Gli studi che hanno preso in considerazione questo aspetto – continua Rampini – hanno dimostrato che il trattamento con la DBS è economicamente più vantaggioso rispetto a quello tradizionale, sia per quanto riguarda i costi diretti, che quelli indiretti. Per quanto riguarda la nostra casistica (più di 140 pazienti impiantati), i dati dimostrano che dopo l’impianto c’è una riduzione dell’utilizzo dei farmaci del 70%, il che comporta anche una diminuzione delle complicanze correlate alla terapia. Ma quello che è sorprendente è notare il miglioramento della qualità di vita e della capacità di svolgere le attività quotidiane. Affrontando in modo puntuale il discorso dei costi – conclude Rampini – si calcola che quelli precedenti all’intervento sono di circa 8.500 euro all’anno per paziente, nel primo anno successivo all’intervento scendono a 4.398 euro e dal secondo anno in poi, calano ulteriormente, arrivando a 1.824 euro l’anno.”

A seconda del modello utilizzato e della quantità di stimolazione elettrica necessaria per il controllo dei sintomi, la batteria che alimenta il neuro stimolatore può durare da tre a nove anni (mediamente 5 anni). Quando si deve sostituire la batteria, si riapre l’incisione in anestesia locale e viene sostituita soltanto la batteria, collegando quella nuova ai fili già esistenti.

Fonte: Parkinson Italia – 29/05/2015

Safenamide per la Malattia di Parkinson

Il nuovo farmaco Safinamide (Xadago) ha ricevuto la sua prima approvazione, in Germania. Il medicinale è indicato come aggiunta alla sola Levodopa (L-dopa) o in
combinazione con altre terapie farmacologiche per la Malattia di Parkinson in pazienti fluttuanti in stadio medio-avanzato della malattia.
Il Prof. Heinz Reichmann, Direttore del Dipartimento di Neurologia dell’Università di Dresda, ha dichiarato: “quando il paziente con Malattia di Parkinson non è controllato in modo ottimale dal trattamento con levodopa, Xadago può essere la terapia di prima scelta come add on alla levodopa stessa grazie alla sua dimostrata capacità di controllare, in modo bilanciato, i sintomi e le complicanze motorie della malattia. Tali benefici evidenziati nei primi sei mesi di trattamento sono stati mantenuti per oltre due anni. Tutto ciò grazie al suo unico doppio meccanismo d’azione, dopaminergico e dopaminergico e non dopaminergico. La modulazione unica e combinata del sistema dopaminergico e glutamatergico di Xadago usato in add-on alla terapia standard potenzia l’effetto sulla funzionalità motoria della malattia senza peggiorare le complicanze motorie. Con il tempo, in tutto il mondo, i pazienti con Malattia di Parkinson potranno beneficiare dei vantaggi clinici di Xadago”.
Stefan Weber, CEO di Newron, una delle aziende che lo distribuisce, ha commentato: “siamo lieti che i pazienti con Malattia di Parkinson in Germania abbiano ora la possibilità di accedere ad un terapia aggiuntiva altamente innovativa. Xadago ha dimostrato di ottenere significativi miglioramenti nelle fasi “ON” e “OFF” della malattia senza peggioramento di sintomi quali la discinesia. Newron e il suo partner Zambon proseguono nel processo autorizzativo di Xadago per rendere disponibile il prodotto ai pazienti nel resto d’Europa e negli Stati Uniti”.
Safinamide è un nuovo principio attivo con un esclusivo duplice meccanismo d’azione: inibizione delle MAO-B altamente selettiva e reversibile e modulazione del rilascio eccessivo del glutammato tramite il blocco stato-dipendente dei canali del Sodio-voltaggio dipendenti. Gli studi clinici registrativi hanno dimostrato inequivocabilmente la sua efficacia nel controllare i sintomi motori e le complicanze motorie della Malattia di Parkinson nel breve periodo (6 mesi) mantenendo i benefici anche nel lungo termine (fino a 2 anni). I risultati di uno studio a lungo termine (24 mesi), in doppio cieco, controllato verso placebo, evidenziano che safinamide è efficace sulle fluttuazioni motorie (Tempo ON/OFF) senza aumentare il rischio di sviluppare discinesie invalidanti. Questo dato positivo può essere correlato al suo unico duplice meccanismo d’azione che agisce sulla trasmissione dopaminergica e glutammatergica. Safinamide è un farmaco ben tollerato, con un profilo di sicurezza favorevole ed è facile da usare: monosomministrazione, non necessita di modificare la dose di levodopa, non ha interazioni farmacologiche importanti, non richiede diete particolari grazie alla sua selettività MAO-B vs MAO-A.

Fonte: Italia Salute.it – 15/05/2015

Parkinson guarito con iniezioni di cellule fetali.

 

La rivista New Scientist- Health ha pubblicato il risultato di una ricerca condotta dall’Università di Cambridge sugli esiti di un sistema di trattamento del Morbo di Parkinson sperimentato alcuni anni fa e poi abbandonato basato sull’iniezione di cellule fetali iniettate nel cervello.

Si tratta di un trattamento lanciato 28 anni fa in Svezia a proposito del quale, però, solo successivamente due studi negli Stati Uniti hanno registrato un beneficio significativo nei primi due anni successivi alle iniezioni.

E’ dunque probabile che non sia stato considerato adeguatamente il fatto che ci vogliono diversi anni per ottenere un effetto adeguato delle cellule iniettate come avrebbero dimostrato gli effetti poi registrati su pazienti che, dice il responsabile della ricerca Roger Barker, dopo “il trattamento sono praticamente tornati alla normalità”.

Secondo i risultati raggiunti, l’iniezione delle cellule fetali hanno l’effetto di stimolare la produzione di dopamina la cui carenza produce il classico sintomo del disordine del Parkinson, caratterizzato dall’insorgere di movimenti incontrollati. Nel caso dei pazienti in questione, le cellule hanno prodotto tanta dopamina da consentire a molti di loro d’interrompere l’assunzione di farmaci normalmente somministrati per la cura del Parkinson.

Le prime prove di questo trattamento furono fatte nel 1990 presso l’ospedale Addenbrooke di Cambridge su di un paziente che però non ricevette un trattamento completo perché non c’erano abbastanza cellule per il trattamento di più di una metà del suo cervello. Le cellule necessarie ad un trattamento completo sono quelle corrispondenti ad almeno tre feti.

I ricercatori adesso hanno in programma provare il trattamento di altre 19 persone tra Cambridge e la Svezia e di utilizzare neuroni dopaminergici provenienti da cellule staminali piuttosto che le cellule fetali. In questo modo è possibile superare i problemi legati alla carenza delle cellule vere e proprie.

Fonte: ULTIMA EDIZIONE.eu – 28/05/2015

Parkinson, test di cura con infusione di cellule fetali nel cervello

Gli scienziati di Cambridge hanno ripreso un metodo che era stato messo a punto negli anni ’90, ma era stato abbandonato, per un errore di calcolo sui tempi, prima di vederne gli eventuali effetti positivi.

Nuove strade per combattere il Parkinson. Un uomo di 55 anni affetto dalla malattia ha ricevuto un’iniezione di cellule cerebrali fetali nel cervello: gli scienziati dell’Università di Cambridge vogliono verificare se, grazie a questo trattamento, il malato possa arrivare a recuperare il pieno controllo dei suoi movimenti entro circa cinque anni. La notizia dello studio è stata pubblicata sul giornale New Scientist. Il protocollo in realtà è vecchio. Era stato lanciato 28 anni fa in Svezia, ma due studi negli Stati Uniti non avevano registrato alcun beneficio significativo nei primi due anni successivi le infusioni e la procedura era stata abbandonata in favore dei trattamenti di stimolazione cerebrale profonda.

Ciò che questi studi avevano trascurato, però, è che alle cellule fetali servono diversi anni per depositarsi e ‘collegarsi’ correttamente al cervello del ricevente. E infatti molti pazienti svedesi e nordamericani sono notevolmente migliorati oltre tre anni dopo gli impianti, ma a quel punto la sperimentazione era già stata interrotta. Le cellule fetali, quando vengono ‘cablate’ correttamente nel cervello, iniziano a produrre dopamina, una sostanza i cui livelli si abbassano molto in presenza di Parkinson, causando l’insorgenza di movimenti incontrollati: ebbene queste cellule, affermano ora gli studiosi, sembrano in grado di produrre tanta dopamina da consentire ipoteticamente a molti pazienti di interrompere l’assunzione di farmaci.

Invece, a causa del fallimento dei primi trial, nessuno ha mai ricevuto un trapianto di cellule cerebrali fetali dal 1990. Il paziente trattato presso l’ospedale Addenbrooke di Cambridge, il 18 maggio scorso, non ha ricevuto un trattamento completo, perché l’equipe di scienziati aveva a disposizione abbastanza cellule solo per il trattamento di una metà del suo cervello. La procedura è legata infatti alle donazioni di cellule fetali fatte da donne alla fine della loro gravidanza, per cui non è facile programmare e portare a termine il trattamento: servono le cellule di almeno 3 feti per trattare metà cervello e per questo motivo già quattro precedenti tentativi di trattare lo stesso paziente sono falliti proprio a causa di mancanza di cellule. Ma gli scienziati di Cambridge sperano di poter trattare l’altra metà del cervello del paziente molto presto. “Se cureremo entrambe le parti, potremmo vedere un primo miglioramento in circa 6 mesi-1 anno”, dicono. Ma i benefici massimi sono previsti in 3-5 anni, e dovrebbero poi durare per oltre un decennio. Il team ha in programma di testare il trattamento su altre 19 persone, tra Cambridge e la Svezia.

Fonte – La Repubblica.it Salute
27-05-2015

La biro ARC aiuta i malati di Parkinson a scrivere

Un team di studenti ha progettato una particolare penna equipaggiata con sezioni vibranti, che aiuta i malati di Parkinson a scrivere correttamente. La micrografia è una delle tante conseguenze negative legate al morbo di Parkinson: chi è affetto dalla malattia tende infatti, con il passare del tempo, a scrivere lettere e parole in modo sempre più piccolo, fino a trasformare intere frasi in tratti talvolta incomprensibili. Una soluzione al problema potrebbe essere rappresentata dal progetto portato avanti da un team di studenti del Royal College of Art e dell’Imperial College di Londra.Il dispositivo in questione si chiama ARC ed è una speciale penna equipaggiata con motoriche, vibrando, stimolano in modo mirato alcuni muscoli, così da migliorare il controllo del movimento da parte del paziente. Le sue dimensioni generose, inoltre, rendono più semplice l’impugnatura da parte di chi ha difficoltà a coordinare in modo preciso la posizione delle dita. Ciò che rende ancor più interessante il progetto è la sua origine: il gruppo di studenti ha iniziato a svilupparlo non con la finalità di consentire ai malati di Parkinson una scrittura più agevole, ma con l’obiettivo di far testare a chiunque che tipo di disagio comporta essere affetti dalla patologia. Una notizia che ricorda quella di Liftware, cucchiaio creato da Lift Labs (azienda acquisita da Google) per consentire a chi soffre di Parkinson di tornare ad alimentarsi in modo autonomo, grazie ad un sistema che di fatto elimina le vibrazioni involontarie causate dall’arto. L’approccio utilizzato per ARC potrebbe in futuro essere applicato anche ad altri oggetti di utilizzo quotidiano, come pennelli per il trucco o mouse per il computer. L’obiettivo di queste soluzioni non è quello di combattere il progredire della patologia, bensì di semplificare la vita di coloro che ne soffrono, in attesa che la ricerca in merito alle sindromi neurodegenerative compia un significativo passo in avanti.

Fonte: Webnews 31 marzo 2015

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